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Nuovo collegato lavoro e indennità di disoccupazione: come stanno le cose?

L’indennità di disoccupazione (NASpI) è una prestazione previdenziale che spetta, ai sensi dell’art. 1, d. lgs. n. 22 del 4 marzo 2015, a tutti i lavoratori dipendenti che abbiano involontariamente perso l’occupazione, che si trovino in stato di disoccupazione e che possano far valere, nei quattro anni precedenti l’inizio del periodo di disoccupazione, almeno tredici settimane di contribuzione.

Costituisce, quindi, un importante strumento di sostegno al reddito dei lavoratori che si trovino temporaneamente (la durata della prestazione, in presenza dei requisiti di legge, può essere estesa fino a due anni) in stato di disoccupazione involontaria.

La Naspi spetta, quindi, a tutti i lavoratori subordinati il cui rapporto di lavoro sia cessato a causa di un licenziamento o per scadenza di un contratto a termine; nelle ipotesi di dimissioni per giusta causa; di risoluzione consensuale del rapporto in seguito alla procedura ex art. 7, l. 15 luglio 1966, n. 604 (non più esperibile per gli assunti dopo il 7 marzo 2015); nel caso di disoccupazione conseguente al rifiuto di ottemperare all’atto di trasferimento, quando sia disposto verso una sede distante più di 50 km da quella di partenza o con un tempo di percorrenza superiore agli 80 minuti; di accettazione dell’offerta di conciliazione prevista dall’art. 6, d.lgs. 4 marzo 2015, n. 23, in caso di licenziamento.

Con il co. 171 della legge di bilancio per il 2025 (l. 30 dicembre 2024, n. 207), tuttavia, il legislatore ha aggiunto un ulteriore requisito per l’accesso all’indennità di disoccupazione: nel caso di dimissioni da un rapporto di lavoro a tempo indeterminato (anche a seguito di risoluzione consensuale), a partire dal 1 gennaio 2025, il lavoratore, che venga licenziato dall’occupazione che abbia reperito dopo le dimissioni (o dopo la risoluzione consensuale), potrà percepire la Naspi solo se abbia maturato tredici settimane di contributi dopo la cessazione del precedente rapporto di lavoro (cessato per dimissioni o risoluzione consensuale). Tale requisito si applica qualora le dimissioni siano state rassegnate nei dodici mesi precedenti alla cessazione involontaria del rapporto per cui si chiede la prestazione previdenziale[1]

Ciò significa che, ad esempio, se un lavoratore, insoddisfatto delle sue condizioni contrattuali, rassegna le dimissioni dopo aver trovato un impiego ritenuto migliore e viene licenziato durante o al termine del periodo di prova (che avrà, in moltissimi casi casi, durata inferiore alle tredici settimane, impedendo l’integrazione del nuovo requisito), non avrà diritto all’indennità di disoccupazione, se le dimissioni dal precedente impiego (che, come si è visto, già di per sé non danno diritto all’indennità di disoccupazione) sono state rassegnate da meno di dodici mesi[2]

Vi sarà da capire se in questo nuovo requisito, fortemente penalizzante, non siano rinvenibili profili di illegittimità costituzionale: l’art. 38 Cost., infatti, stabilisce, senza deroghe, che i lavoratori hanno diritto che siano previsti e assicurati mezzi adeguati alle esigenze di vita… in caso di disoccupazione involontaria.

[1] Tale disposizione non si applica nel caso di dimissioni rassegnate ai sensi dell’art. 55, d. lgs. 16 marzo 2001, n. 151, per la tutela della maternità e paternità.

[2] Il requisito delle tredici settimane, si badi bene, si riferisce alla contribuzione, e non all’effettivo svolgimento della prestazione.