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Approfondimenti

Licenziamento disciplinare: se il datore non contesta preventivamente l’addebito è tenuto a reintegrare il lavoratore anche se occupa fino a 15 dipendenti

Una recente sentenza della Sezione Lavoro del Tribunale di Roma (N. 10104/2024 pubbl. il 12/10/2024, RG n. 28992/2023) statuisce che, anche nelle aziende che non raggiungono i requisiti occupazionali ex art. 18 Stat. Lav. e, dunque, che impiegano fino a 15 dipendenti, ove il datore abbia proceduto ad irrogare un licenziamento disciplinare senza prima aver contestato per iscritto l’addebito, dovrà dichiararsi la nullità del licenziamento con condanna alla reintegrazione del prestatore.

Com’è noto l’art. 7 dello Statuto dei Lavoratori così dispone: “Il datore di lavoro non può adottare alcun provvedimento disciplinare nei confronti del lavoratore senza avergli preventivamente contestato l’addebito e senza averlo sentito a sua difesa”.

Nel caso oggetto, il datore aveva intimato al lavoratore il licenziamento “in tronco” per insubordinazione, senza avere trasmesso alcuna contestazione disciplinare contenente l’addebito e senza avere concesso al dipendente il termine per rendere le proprie giustificazioni.

Il lavoratore ha dunque impugnato il licenziamento e avviato il giudizio volto dinnanzi al Tribunale di Roma, insistendo in primo luogo per la dichiarazione di nullità dello stesso con invocazione della tutela reintegratoria.

Il Giudice del Lavoro, eseguita una ricognizione sulle tutele previste dal diritto positivo al fine di individuare quella da applicare al caso concreto, ha in primo luogo escluso la possibilità di applicare l’art. 3 c. 2 Dlgs 23/2015, poiché non è prevista la tutela reintegratoria per insussistenza del fatto nel caso di imprese fino a 15 dipendenti; ha dunque escluso la tutela prevista dall’art. 4 Dlgs n. 23/2015, che riguarda solo violazioni di tipo meramente formale, nell’ambito del quale non può di certo ricondursi la radicale assenza del procedimento disciplinare; nemmeno, prosegue il Giudice, la vicenda può rientrare nell’alveo dell’art. 3 c. 1 Dlgs 23/2015 da applicarsi, in via residuale, ove non ricorrano gli estremi per il licenziamento per g.m.s., poiché il datore ha completamente omesso di delineare il fatto nei sui esatti termini e contorni in sede di contestazione.

Per individuare la tutela da applicarsi al caso concreto il Tribunale di Roma, richiamando il consolidato orientamento della Cassazione[1], ha argomentato “la nullità di una sanzione disciplinare per violazione del procedimento finalizzato alla sua irrogazione – sia quello generale di cui all’art. 7 St. lav., sia quello specifico previsto per gli autoferrotranvieri dall’art. 53 del r.d. n. 148 del 1931, all. A (nel caso ivi esaminato l’omessa pronuncia da parte del Consiglio di disciplina) – rientra tra quelle c.d. di protezione, poiché ha natura inderogabile ed è posta a tutela del contraente più debole del rapporto, vale a dire il lavoratore […] atteso che la procedura garantistica prevista in materia disciplinare (dall’art. 7 Stat. in linea generale e, nello specifico dei rapporti di lavoro autoferrotranviario, dall’art. 53 r.d. n. 148/31) è inderogabile ed è fondata su un evidente scopo di tutela del contraente debole del rapporto (vale a dire del lavoratore dipendente). (v. anche Cass. ord. n. 9530 2023)”.

Conseguentemente, la violazione dell’iter ex art. 7 Stat. Lav. deve considerarsi non già quale “mera deviazione formale dallo schema procedimentale” bensì quale “vera e propria nullità”, con conseguente condanna del datore alla reintegra del lavoratore licenziato.

[1] (v. Cass.12770/2019; V. anche Cass. lav. n. 13804 del 31/05/2017