Il licenziamento costituisce un atto particolarmente traumatico nella vita del lavoratore, come ricordato anche in numerose sentenze della Corte Costituzionale (v., da ultimo, C. Cost., n. 59/2021).
Per questo motivo, il legislatore ha, negli anni, introdotto dei limiti al potere di licenziamento del datore di lavoro. Il lavoratore può essere licenziato solo per giusta causa (art. 2119 c.c.) o per giustificato motivo (art. 3, l. n. 604/1966) soggettivo o oggettivo.
La giusta causa è una causa che non consente la prosecuzione, neanche temporanea, del rapporto; in questo caso, il lavoratore non ha diritto al preavviso di licenziamento o alla corrispondente indennità, perché l’inadempimento della prestazione è talmente grave da recidere il vincolo fiduciario tra le parti e determinare l’immediata risoluzione del rapporto. La giusta causa può riguardare solo fatti che attengono al rapporto di lavoro.
Il giustificato motivo soggettivo è un inadempimento contrattuale delle obbligazioni di cui il lavoratore sia colpevole.
Il giustificato motivo oggettivo riguarda ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa.
E’ il datore di lavoro che deve provare che le predette causali sussistono. Il licenziamento intimato senza la sussistenza di queste è illegittimo, e pertanto, previo accertamento giudiziale, determina l’obbligo del datore di lavoro di risarcire oppure reintegrare il lavoratore.