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Approfondimenti

Licenziamento per giustificato motivo oggettivo: reintegra se il fatto è manifestamente insussistente

LA CORTE COSTITUZIONALE TORNA SULL’ART. 18 DELLO STATUTO DEI LAVORATORI 

Su rinvio del Tribunale di Ravenna, la Corte Costituzionale ha ritenuto fondata la questione di costituzionalità dell’art. 18, comma settimo, L. 300/1970 come modificato c.d. “Legge Fornero” (L. 92 del 2012), con riferimento agli articoli 3, comma primo, 41, comma primo, 24 e 111, comma secondo, della Costituzione, laddove prevede che il Giudice “possa – e non debba – disporre la reintegrazione del lavoratore” nell’ipotesi in cui accerti la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo. 

La questione prende le mosse dai diversi regimi sanzionatori previsti dalla Legge Fornero a seconda della tipologia di licenziamento intimato al lavoratore (orale, nullo, insussistenza del fatto contestato, assenza di giusta causa e giustificato motivo soggettivo ecc..). 

In particolare, la Corte si concentra su quello che riguarda la cosiddetta tutela reintegratoria attenuata, ossia quella che prevede la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, ma limita a dodici mensilità l’ammontare dell’indennità risarcitoria che il datore di lavoro è obbligato a corrispondere dal giorno del licenziamento fino a quello dell’effettiva reintegrazione. 

Questo tipo di tutela si applica ai licenziamenti disciplinari, per giusta causa o giustificato motivo soggettivo, se il giudice riscontri l’insussistenza del fatto contestato o la riconducibilità del fatto alle condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi o dei codici disciplinari. La tutela reintegratoria attenuata sanziona, inoltre, anche i licenziamenti intimati senza giustificazione «per motivo oggettivo consistente nell’inidoneità fisica o psichica del lavoratore», o intimati in violazione delle regole che, nell’ambito del licenziamento per malattia, disciplinano il periodo di comporto.

Nei licenziamenti economici, cioè riguardanti motivi strettamente correlati all’attività produttiva, la tutela reintegratoria attenuata, però, «può» essere applicata dal Giudice solo nelle ipotesi di «manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo». 

Il ripristino del rapporto di lavoro, quindi, con un risarcimento fino a un massimo di dodici mensilità, è circoscritto all’ipotesi della manifesta insussistenza del fatto da cui è scaturito il licenziamento. 

Spesso, inoltre, secondo le pronunce più recenti della Cassazione, la reintegrazione non viene ritenuta obbligatoria, neppure quando l’insussistenza del fatto posto a base del licenziamento si connoti come manifesta. 

In sostanza, se per i licenziamenti disciplinari, il legislatore ha previsto la reintegrazione del lavoratore quando si accerti in giudizio l’insussistenza del fatto posto a base del recesso del datore di lavoro, per i licenziamenti economici, invece, l’insussistenza del fatto può, e non deve, condurre alla reintegrazione ove sia manifesta. 

Da qui la conclusione della Corte Costituzionale, secondo cui “Il carattere meramente facoltativo della reintegrazione rivela, anzitutto, una disarmonia interna” al sistema sanzionatorio introdotto dalla Legge Fornero e vìola il principio di eguaglianza.

Pertanto, le diverse caratteristiche delle fattispecie di licenziamento, che, nella giusta causa e nel giustificato motivo soggettivo, sono legate alla violazione degli obblighi contrattuali ad opera del lavoratore e, nel giustificato motivo oggettivo, a scelte tecniche e organizzative dell’imprenditore, non legittimano una diversificazione quanto alla obbligatorietà o facoltatività della reintegrazione una volta appurato l’insussistenza del fatto meritevole del rimedio della reintegrazione. 

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